Compositore austriaco. Appartenente a
una famiglia di origine ebraica, dimostrò un precoce talento, iniziando a
studiare musica a otto anni insieme al fratello Heinrich, sotto la guida della
madre. All'età di 15 anni fu costretto ad abbandonare la scuola a seguito
della morte del padre e continuò a studiare musica da autodidatta.
L'incontro con A. von Zemlinsky diede una svolta decisiva alla vita di
S.: questi, infatti, gli fu maestro di armonia e contrappunto e, nel
1895, lo fece assumere come direttore della corale dei metallurgici di
Stockerau. Trasferitosi a Berlino, R. Strauss gli procurò un posto come
insegnante presso il conservatorio Stern; insieme a E. von Wolzogen fu animatore
musicale del cabaret artistico-letterario Überbrettl. Tornato a Vienna nel
1903,
S. ebbe modo di conoscere G. Mahler, grazie all'appoggio del quale
fece eseguire dal complesso Rosé alcune sue composizioni che ebbero una
fredda accoglienza da parte del pubblico. Nel 1910 il musicista, che già
aveva radunato intorno a sé un ristretto numero di allievi, fra cui A.
Berg e A. Webern, venne nominato professore di Composizione all'Accademia
musicale di Vienna. Accostatosi al mondo delle avanguardie pittoriche,
dipingendo egli stesso quadri da lui definiti “Visioni”,
S.
strinse amicizia col pittore V. Kandinskij, insieme al quale fondò il
gruppo del Cavaliere azzurro; partecipò all'almanacco del gruppo (1912)
con un saggio intitolato
Il rapporto col testo, in cui
enunciò per la prima volta le basi teoriche dell'Espressionismo musicale.
Lo scoppio della prima guerra mondiale costrinse
S. a interrompere
l'attività di compositore. Nel 1918 fondò l'Associazione per
esecuzioni musicali private, allo scopo di diffondere la conoscenza della musica
contemporanea d'avanguardia. Nel 1925 si trasferì nuovamente a Berlino
dove succedette a F. Busoni come professore di Composizione all'Accademia
prussiana delle arti di Berlino. All'avvento di Hitler
S., benché
battezzato cattolico, venne allontanato dall'insegnamento; abbandonò
quindi la Germania trasferendosi prima in Spagna, poi in Francia dove, in segno
di protesta contro il Nazismo, riabbracciò la fede ebraica (1933), e
successivamente negli Stati Uniti. Professore di Composizione presso il Malkin
Conservatory di Boston, fu poi a New York e per qualche tempo a Hollywood; nel
1935 passò all'università della California meridionale e in
seguito a quella di Los Angeles. Nel 1940 prese la cittadinanza statunitense.
Seguire il percorso artistico di
S. significa ripercorrere le tappe
più radicali dell'evoluzione della musica contemporanea: dal
Postromanticismo, alla dissoluzione della tonalità, fino alla completa
reinvenzione dei mezzi formali compositivi nella dodecafonia
(V.). Le prime composizioni di
S. si
collocano sotto il segno di Wagner e Mahler: nel poema sinfonico per sestetto
d'archi
Notte trasfigurata op. 4 (1899), ispirato a una poesia di R.
Dehmel, e nella sinfonia per coro e orchestra,
I canti di Castel Gurre,
su testo di J.P. Jacobsen (la cui strumentazione doveva essere terminata nel
1911), il cromatismo wagneriano è spinto ad accese ambientazioni sonore
che preludono ai caratteri che contraddistingueranno l'Espressionismo musicale
di
S. Fondamentale per comprendere il percorso teorico di
S.
è il
Manuale d'armonia, iniziato nel 1909 e pubblicato a Vienna
nel 1911. In esso, attraverso una progressiva disamina del linguaggio armonico,
dalle origini fino a Wagner, si giunge ai limiti della tonalità; si
accenna alla “pantonalità” (termine che
S. sempre
preferì a quello di atonalità) e a relazioni timbriche dei suoni
denominate “melodia di colori sonori”. Appartengono alla cosiddetta
fase atonale di
S. il poema sinfonico
Pelleas e Melisande op. 5
(1902-03), i
Tre pezzi per pianoforte op. 11 (1908-09), i 15
Lieder op. 15 (1908), tratti da
I Giardini pensili di S. George, e
il
Pierrot lunaire op. 21 (1912), considerato il manifesto
dell'Espressionismo musicale, e la cui rappresentazione a Berlino destò
grande interesse. Melodramma espressionista per otto strumenti e voce recitante,
il
Pierrot Lunaire si ispirava a 21 poesie di A. Giraud tradotte in
tedesco da O.E. Hartleben. In esso
S. sostituì al canto della
tradizione operistica il “canto parlato” che, pur osservando
l'altezza del suono, non intona la nota, ma la sfiora, producendo una sorta di
recitazione allucinata. Al centro, il dramma dell'alienazione dell'uomo
contemporaneo in un mondo in rovina. Al 1909 risalgono
L'attesa op. 17,
monodramma per soprano e orchestra, su testo della psicoanalista M. Pappenheim,
e
La mano felice op. 18, su testo dello stesso
S., esempi di
teatro espressionista in cui musica, colori, parole e gesti si fondono in una
rappresentazione totale. In entrambe le composizioni il tema è quello
della solitudine dell'individuo, del conflitto con la realtà esterna e
del conseguente ripiegamento sulla propria individualità. Giunto
attraverso l'esasperazione del cromatismo alla dissoluzione della
tonalità,
S. sentì l'esigenza di dare una nuova struttura
ai mezzi espressivi musicali, di trovare un “metodo di comporre con dodici
suoni in relazione solo tra loro”, senza un centro tonale ben definito.
Secondo questa nuova tecnica, i 12 suoni venivano trattati dal compositore con
lo stesso livello d'importanza, senza che ve ne fosse uno privilegiato: era la
dodecafonia. Generalmente si suole far coincidere l'inizio della dodecafonia con
la
Suite op. 25 (1921-23), seguita da
Cinque pezzi per pianoforte
(1923) e
Serenata (1923). Parallelamente alla ricerca di nuovi mezzi
espressivi formali,
S. si avvicinò sul piano contenutistico a una
nuova poetica, fortemente impegnata sul fronte religioso e sociale. Questa
tendenza è già evidente nei testi che egli stesso scrisse e mise
in musica, come
La scala di Giacobbe (iniziato nel 1912 e la cui
partitura musicale rimase incompiuta), ispirato al pensiero del mistico svedese
Swedenborg, o le
Tre satire op. 28 (1925). La nuova tecnica dodecafonica
fu in seguito perfezionata da
S. fino ai grandi capolavori del periodo
berlinese: la
Suite per sette strumenti op. 29 (1925), il
Terzo
quartetto op. 30 (1927) e le
Variazioni per orchestra (1926-28),
considerate dal punto di vista tecnico il capolavoro della dodecafonia, dirette
a Berlino nel 1928 da W. Furtwängler. Ricordiamo inoltre l'opera in un solo
atto
Dall'oggi al domani, rappresentata all'opera di Francoforte nel
1930, e l'opera incompiuta
Mosè e Aronne (1926-32), rappresentata
postuma nel 1957 allo Stadttheater di Zurigo, ritenuta a ragione una delle
maggiori creazioni del teatro lirico contemporaneo. La partitura è
costruita su un'unica serie dodecafonica, con uno schema speculare e circolare
su cui vengono elaborati i diversi temi dell'opera. Mosè e Aronne sono
visti come incarnazione di due aspetti fra loro complementari: il primo
rappresenta l'idea, il secondo l'azione che, nel tentativo di tradurre in
pratica la prima, la tradisce. La produzione americana di
S. è
caratterizzata dalla tematica etico-religiosa della lotta fra il bene e il male,
fra il singolo e la società: l'
Ode a Napoleone op. 41 (1942), su
testo di Byron, invettiva contro la tirannide ispirata ai tragici eventi della
seconda guerra mondiale, il
Preludio alla Genesi op. 44 (1946) per coro
senza parole,
Un sopravvissuto di Varsavia op. 46 (1947) per recitante e
orchestra, appassionata rievocazione delle atrocità dei campi di
sterminio nazisti. Dell'ultimo periodo della produzione di
S. ricordiamo
il
Concerto per piano e orchestra op. 42 (1947), la
Fantasia per
violino e piano op. 47 (1949), il coro misto a cappella
Tremila anni op.
50 (1949) e il
De profundis op. 50b (1950). Poco prima della morte
S. concepì l'idea di un ciclo di dieci
Salmi moderni, di
cui riuscì a portare a termine solo il testo e l'inizio della partitura
del primo (Vienna 1874 - Los Angeles 1951).